sabato 26 gennaio 2013

C'e' di mezzo il mare

Via Santa Maria
Quando trovi la persona “giusta”, quella che cercavi, quella con cui puoi parlare, quella che non e’ perfetta ma che e’ perfetta per te, l’altra meta’ del cielo, la tua meta’ o come altro la chiamano, mai pensi che devi arrivare a compromessi. Mai penseresti che devi pagare un prezzo. In fondo alla tua migliore amica non e’ capitato, alla vicina di casa, all’amico dell’amico, a un parente.  Forse tutti pagano un prezzo. Io non lo so e non lo posso sapere.
Io sono arrivata qui quasi otto anni fa e non sono piu’ andata via. Il mio prezzo da pagare e’ la lontananza dalla mia famiglia. Non lo senti tutti i giorni o meglio non te ne accorgi. Il lavoro, la casa, i problemi di tutti i giorni ti portano via la mente. Non ci puoi pensare altrimenti e’ finita. Ti prende la paranoia e ti chiedi tanti perche’ a cui non puoi rispondere. Allora accendi la tele, leggi un libro, scrivi un blog. Abito in una citta’ che pare attragga l’invidia di tante persone che conosco. Non so perche’. Il mito? La leggenda? Gli M&Ms in Times Square che ti fanno l’occhiolino quando passi? Vai a capire.
L’Empire State Building lo vedo tutti i giorni con le sue belle luci Led colorate e moderne, ma, vuoi mettere il Duomo con tutte le sue belle punte d’asparagi (cosi come le chiamava il mio carissimo professore di Storia dell’Arte al Liceo, Paciarotti Prof. Giuseppe).
Cosi passano le giornate, i mesi, gli anni e impari a non fartela pesare. Fino a quando sei costretta a pensarci quando una persona cara che non fa parte della famiglia stretta, un’amico, una parente si ammala o muore. Non e’ la morte che pesa. Fa parte della vita speri solo che arrivi il piu’ tardi possibile e che ci arrivi in buona salute o quasi.
E’ il non esserci. Prima. Quando c’e’ una visita medica, un check up in ospedale, una chiacchierata per tirar su il morale. Quando c’e’ di mezzo il mare non puoi prendere la macchina ed essere li in dieci minuti, ci sono otto ore di aereo, c’e’ il prezzo del biglietto.
In molti all’inizio mi hanno dato “consigli”. Torna a casa, cosa sei li a fare... In fondo mi sono solo sposata, nel bene e nel male, in ricchezza e poverta’, in salute e malattia. Promesse che si fanno cosi e poi quando hai nostalgia di casa molli tutto. Lasci quell’altra persona, l’altra meta’ che ti ha promesso le stesse cose e te ne vai. Cosa sara’ mai, un pezzo di carta?
Non li ho ascoltati, sono quei consigli che entrano da una parte ed escono dall’altra. Forse, mi sono detta, i miei preferiscono sapere che ho una vita mia, diversa, lontana. Sapere che non sono in casa da sola ad aspettare una malattia, una tragedia, una perdita, lasciandomi passare gli anni sotto gli occhi.
Quello che ho imparato in questi ultimi anni e’ prendere quello che viene. Ogni settimana di vacanza che possiamo passare insieme, ogni raid in citta’ di mamma con viaggi giornalieri al CVS a comprare cazzate, mini-viaggi in moto con mio fratello e avere la ”yarda” (parola italianizzata da yard o back yard, giardino sul retro della casa) tirata a specchio quando papa’ passa da Brooklyn e si aliena in giardino con la pala e il rastrello.
Un giorno forse riusciremo ad avvicinarci, magari in Francia a due passi da Ventimiglia a tre ore da Milano, per ora accontentiamoci di non abitare sull’altro Oceano, quello da 13 ore di volo. Per ora rimaniamo qui, lontani, in contatto con Skype ad “assorbire” notizie di malattie, funerali, nascite, matrimoni senza mai esserci di persona se non con una cartolina, l’unico messaggio che il 99% delle volte arriva. Che fa pensare al ricevente che ci siamo anche noi due che pensiamo, che non siamo poi cosi distanti. Siamo sullo stesso pianeta, c’era la neve li adesso c’e’ qui. C’e’ l’influenza dello stomaco ed e’ arrivata anche qui. Sono li ogni volta che qualcuno legge le mie “avventure” metropolitane.
Un’altro inverno, un’altro anno, altre storie raccontate in rete e poi via con il solito tran-tran fino alla prossima notizia.

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